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Famiglia nel bosco a Chieti: ecco perché i 3 bambini sono stati allontanati

Una vita immersa nella natura, lontano dalla società “tossica” e dalla tecnologia. È questa la scelta radicale presa da Nathan Trevallion e Catherine Birmingham, coppia anglo-australiana che nel 2021 è andata a vivere con i tre figli in una casa nel bosco presso Palmoli, in provincia di Chieti, senza acqua corrente, elettricità né gas.

Fino a due giorni fa, quando il tribunale per i minorenni de L’Aquila ha disposto l’allontanamento dei bambini — una femmina di otto anni e due gemelli maschi di sei — che ieri sono stati trasferiti in una comunità educativa insieme alla madre dopo l’arrivo dei carabinieri e dei servizi sociali. Il tribunale ha anche sospeso la potestà genitoriale a entrambi i genitori e nominato un tutore legale per i minori.​

Nathan Trevallion e Catherine Birmingham: chi sono i genitori 

Nathan Trevallion, 51 anni, britannico, e Catherine Birmingham, 45 anni, australiana con passaporto maltese, si sono conosciuti nel 2016 a Bali, dove lui lavorava come chef e poi commerciante di mobili pregiati, lei come istruttrice di equitazione di alto livello dopo esperienze in Germania e Giappone.

Nel maggio 2021 arriva la svolta: la coppia decide di trasferirsi in Italia con i tre figli per crescerli “lontani dalla tossicità della società occidentale e dalla tecnologia”. Scelgono un’ex casa colonica a Palmoli, nel Vastese, circondata dai boschi, dove installano pannelli solari, una cucina a legna e un camino, vivendo di autoproduzione a contatto con la natura e con gli animali.

I genitori difendono la loro scelta come consapevole e responsabile, assicurando che i figli “sono al sicuro, al caldo e puliti”, seguiti da esperti in vari campi, compreso un pediatra. Le “numerose lettere di supporto” da professionisti, amici e vicini attestano il benessere dei bambini, ma sono state “tutte ignorate” dalle autorità, denunciano a Il Messaggero.​ Il padre Nathan Trevallion dice che i suoi figli sono stati “strappati ai genitori” e che ne rimarranno “traumatizzati”.

Quali sono le implicazioni legali per i genitori dopo la sospensione della responsabilità genitoriale?

Il caso di Palmoli rimette in discussione un equilibrio delicato: fino a che punto lo Stato può — o deve — entrare nelle scelte educative delle famiglie? La Costituzione stabilisce un principio duplice: i genitori possono scegliere come educare, ma lo Stato deve assicurarsi che ogni minore riceva un’istruzione effettiva e adeguata. La libertà educativa è riconosciuta, ma non è assoluta.​

Dal punto di vista giuridico, l’intervento di protezione deve essere limitato a situazioni di effettivo pericolo per l’integrità fisico-psichica del minore, tipiche dello stato di necessità anche se i controlli effettivi variano da regione a regione e dipendono dalla disponibilità delle scuole a gestire percorsi personalizzati.​

La difesa della coppia ha prodotto documenti relativi alle prove annuali e alle comunicazioni con la scuola di riferimento in un’altra regione, sostenendo che l’istruzione parentale è un diritto tracciabile e verificabile. Le autorità hanno però chiesto chiarimenti, ritenendo possibile un pregiudizio per la crescita sociale e affettiva dei minori. Il tribunale ha privilegiato la tutela immediata dei bambini, applicando un principio di precauzione dove il benessere psicofisico prevale sulla libertà genitoriale quando emergono segnali di rischio concreto.​

L’intossicazione da funghi che ha innescato l’inchiesta 

La vicenda finisce sotto la lente della Procura minorile dell’Aquila nel settembre 2024, quando l’intera famiglia viene ricoverata in ospedale per un’intossicazione da funghi raccolti nei boschi circostanti. Un controllo successivo dei carabinieri nell’abitazione genera una segnalazione sul forte isolamento sociale dei tre figli (sul punto segnaliamo una ricerca pubblicata nel 2023 su “The Gerontologist”, secondo cui la solitudine può aumentare il rischio di demenza del 50%). L’episodio determina una prima sospensione della potestà genitoriale, ma i minori restano affidati alla famiglia.​

Nel provvedimento del 19 novembre scorso il tribunale ha rilevato “rischi per lo sviluppo emotivo e per l’incolumità dei minori legati all’isolamento, alle condizioni dell’abitazione e al rifiuto dei genitori di consentire verifiche e controlli sanitari”.

Unschooling e istruzione parentale: cosa dice la legge in Italia 

I giudici sottolineano che la decisione riguarda “la tutela della vita di relazione e della sicurezza” dei bambini e non la loro istruzione, ma in cosa consiste l’unschooling e fino a che punto è legittimo?

Secondo questo approccio educativo radicale, i bambini non frequentano lezioni strutturate ma apprendono attraverso l’esperienza diretta del mondo. I genitori svolgono il doppio ruolo di genitori-insegnanti, in quella che tecnicamente viene chiamata “home schooling” o istruzione parentale. Gli “studenti” non socializzano con altri coetanei e studiano solo a casa.​

In Italia l’istruzione parentale è legale e riconosciuta dalla Costituzione all’articolo 30, che affida ai genitori il dovere di istruire ed educare i figli, e dall’articolo 34, che garantisce l’obbligatorietà dell’istruzione inferiore.

Il decreto legislativo 62 del 2017 e le Linee guida ministeriali regolano questa scelta: ogni anno i genitori devono presentare una dichiarazione di istruzione parentale al dirigente scolastico di riferimento, autocertificando di avere i mezzi tecnici, economici e culturali per garantire l’apprendimento. Inoltre, ogni minore deve sostenere un esame di idoneità annuale che accerti il raggiungimento degli obiettivi dei programmi nazionali. Se le prove non vengono sostenute o hanno esito negativo, la scuola deve segnalarlo alle autorità competenti.​
Il fenomeno è in crescita: secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, gli studenti in istruzione parentale sono passati da 5.126 nell’anno scolastico 2018/2019 a 15.361 nel 2020/2021, triplicati anche a causa della pandemia.​

La situazione, però, si fa più sfumata nel caso dell’unschooling estremo, specie se vissuto in forme che prevedono l’isolamento sociale o il rifiuto di ogni attività strutturata.

L’articolo 403 del Codice civile: quando interviene lo Stato

Il provvedimento di allontanamento disposto dal tribunale si basa sull’articolo 403 del Codice civile, che disciplina l’intervento d’urgenza della pubblica autorità a tutela dei minori in situazioni di grave pericolo. La norma rappresenta uno strumento di protezione immediata e temporanea, applicabile quando il minore non può attendere i tempi di un provvedimento giudiziario ordinario. L’allontanamento può essere disposto quando il minore: si trova in condizioni di abbandono morale o materiale, è esposto nell’ambiente familiare a grave pregiudizio oppure viene messa a rischio la sua incolumità psicofisica.​

La riforma del 2021 ha fissato tempistiche serrate per l’intervento d’urgenza. Nella prima fase amministrativa, l’autorità di pubblica sicurezza che viene a conoscenza di un minore in stato di abbandono interviene collocandolo in luogo sicuro. Entro le 72 ore successive il pubblico ministero, se non revoca il collocamento, chiede al giudice minorile la convalida con ricorso. Entro le successive 48 ore dal ricorso, il giudice minorile provvede sulla convalida, nomina il curatore speciale del minore e fissa l’udienza per l’audizione del minore, dei genitori e del curatore.​

L’allontanamento può essere disposto solo in presenza di condizioni tassative e gravi, che bilanciano la tutela dell’incolumità psico-fisica del minore con il rispetto dei diritti fondamentali della famiglia.

Nel caso di Chieti, i giudici hanno rilevato anche “nuove condotte genitoriali inadeguate” relative alla divulgazione mediatica della vicenda, con la diffusione di dati e foto che consentono l’identificazione dei minori. Secondo il tribunale, “con tale comportamento i genitori hanno dimostrato di fare uso dei propri figli allo scopo di conseguire un risultato processuale ad essi favorevole” generando empatia verso la famiglia e pressione pubblica sui giudici.

Una vita in un casolare: quali sono le norme per l’abitabilità? 

La scelta di Nathan e Catherine di vivere in modo autosufficiente, scollegati dalle reti pubbliche, solleva interrogativi sulla legalità di uno stile di vita off-grid (senza essere collegati alle reti di utenza tradizionali, come elettricità, acqua e gas).

Secondo l’ordinamento italiano, la risposta è articolata: vivere off-grid è legale, ma con regole precise. La legge non vieta la costruzione di abitazioni autonome, purché rispettino i regolamenti edilizi locali, le norme igienico-sanitarie e le disposizioni urbanistiche del territorio. È necessario ottenere le autorizzazioni dagli enti competenti, presentare un progetto firmato da un tecnico abilitato e dimostrare che la casa sia abitabile e dignitosa.​ In base al Testo unico dell’edilizia (Dpr 380/2001), gli immobili a uso residenziale devono rispettare i requisiti igienico-sanitari sanciti dal Dm 5/7/1975 dove si stabiliscono anche i limiti di altezza minima e di superficie minima per abitante (nel 2024, con il Decreto Salva Casa il governo italiano ha ridotto da 28 mq a 20 mq la superficie minima per i monolocali).

Le soluzioni off-grid sono spesso ammesse nelle aree rurali, soprattutto in zone non completamente raggiunte dalle reti pubbliche, purché rispettino gli altri requisiti di legge sulla sicurezza degli impianti e la corretta gestione delle acque di scarico. Nelle aree urbane è decisamente più complesso, poiché l’abitabilità è di solito rigidamente legata alla presenza di adeguati allacciamenti.​

Reazioni e opinioni della comunità sull’allontanamento dei minori 

La vicenda della famiglia Trevallion-Birmingham ha scatenato un ampio dibattito pubblico e una petizione online: circa 31mila persone chiedono alle autorità di consentire al nucleo familiare di restare unito nella loro casa nel bosco. I promotori evidenziano la necessità di salvaguardare il percorso di vita scelto dai genitori e di evitare traumi ai minori.

Anche il vicepremier Matteo Salvini è intervenuto, definendo “vergognoso” il provvedimento e accusando lo Stato di “rubare i bambini”.​

Nathan Trevallion ha aggiunto: “Non capisco perché toglierci i figli, si sta distruggendo la vita di cinque persone”, ha affermato il padre in un’intervista, sottolineando di aver fatto tutto “per il bene dei bambini”.​

Fonte immagine: Change.org

Famiglia

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

© Riproduzione riservata

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