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L’83% delle donne under 35 è spesso stanca: 8 su 10 non hanno un’ora al giorno per se stesse

L’Italia delle donne è esausta, schiacciata dal lavoro di cura non retribuito e non condiviso. Il 70% della componente femminile della popolazione accusa stanchezza cronica e difficoltà a recuperare energia, un dato che sale all’83% per le donne under 35. Questa condizione non è una percezione episodica, ma un effetto diretto del divario di genere nel carico domestico: il 53% delle intervistate dichiara di occuparsi completamente da sola del lavoro di casa. La disuguaglianza è così profonda che l’81% delle donne in età cruciale per la carriera (36-45 anni) afferma di non riuscire a dedicare nemmeno un’ora al giorno a sé stessa.

È quanto emerge dal nuovo Report “Determinanti strutturali e meccanismi di riproduzione delle disuguaglianze di genere”, realizzato dalla direttrice della School of Gender Economics dell’Unitelma Sapienza, in collaborazione con la Dottoressa Claudia Pitteo e con il supporto del Dottor Dawid Dawidowicz dell’Università West Pomeranian (Polonia), su un campione di 2.456 partecipanti.

Presentato oggi in Senato, la ricerca ha lanciato un chiaro allarme sul costo umano ed economico del carico di cura non retribuito. L’indagine ridefinisce le disuguaglianze, identificando la disponibilità di tempo personale come un vero e proprio indicatore economico. Come spiega a Demografica Adnkronos la direttrice Azzurra Rinaldi, il tempo è un “asset” la cui scarsità “deprime la possibilità che loro hanno di lavorare, di guadagnare e, quindi, anche di uscire dalla spirale della violenza economica“.

La generazione esausta al vertice della carriera

I dati raccolti mostrano un legame diretto tra le fasi cruciali per la costruzione della carriera e una drammatica erosione del tempo libero. Se nella fascia d’età compresa tra i 26 e i 35 anni l’83% delle partecipanti si dichiara “frequentemente stanca”, lo squilibrio raggiunge il suo apice nella fascia successiva, quella tra i 36 e i 45 anni. Qui, ben l’81% delle donne afferma di non riuscire a dedicare nemmeno un’ora al giorno a se stessa.

Questa condizione di pressione costante non è episodica, ma sistemica. Sul piano emotivo e psicologico, il 70% delle partecipanti descrive effetti rilevanti come stanchezza cronica e difficoltà a recuperare energia, legati al carico di cura non condiviso. La mancanza di tempo libero si traduce in conseguenze dirette sul benessere: il 42% delle intervistate nei cluster più giovani ha ammesso di trascurare la cura della propria salute per mancanza di tempo. Le donne riportano anche la rinuncia frequente a hobby, vita sociale e culturale.

Il muro domestico e la cura a senso unico

Nonostante il crescente tasso di occupazione femminile, l’indagine smentisce chiaramente la narrazione di un cambiamento culturale compiuto nella divisione dei compiti familiari. I risultati sull’effettiva distribuzione del lavoro domestico mostrano che lo squilibrio è ancora profondissimo:
1. La maggioranza delle donne intervistate, il 53%, dichiara di occuparsi completamente da sola del lavoro domestico.
2. Solo quasi il 30% riferisce un coinvolgimento solo parziale del partner.
3. Compiti specifici come la preparazione dei pasti risultano svolti esclusivamente dalle donne in più della metà dei casi (con percentuali che oscillano tra il 51% e il 61% a seconda dell’età).

Questo dato è cruciale perché il modello lavorativo dominante resta costruito attorno a una figura considerata “priva di responsabilità familiari”. Il suo onere ricade per lo più sulle donne e impedisce loro di investire pienamente nello sviluppo professionale, contribuendo alla motherhood penalty.

Il paradosso della flessibilità negata

Il Report introduce un risultato inedito relativo all’accesso alla flessibilità lavorativa e allo smart working, spesso ritenuti strumenti chiave per la conciliazione. L’analisi mostra un netto paradosso che sfavorisce le donne nel momento di maggiore bisogno.

Le donne nella fascia d’età superiore, tra i 46 e i 60 anni, hanno una probabilità del 57% di lavorare con modalità flessibili. Al contrario, le donne più giovani, tra i 26 e i 35 anni, che si trovano nella fase con la massima pressione familiare e il maggiore carico di cura, ne sono in gran parte escluse: il 70% del totale ha dichiarato di non avere la possibilità di accedere allo smart working.

Questo significa che la flessibilità è oggi “più disponibile quando la pressione familiare si è già ridotta e meno accessibile quando la necessità è massima”, spiegano i ricercatori.

La richiesta di interventi strutturali

L’indagine evidenzia con chiarezza che la soluzione al divario non risiede in strategie individuali, ma nella richiesta di interventi strutturali. Le risposte delle donne su cosa potrebbe migliorare la gestione del tempo sono state estremamente convergenti, concentrandosi in modo netto su tre priorità che, insieme, rappresentano circa l’80% delle risposte complessive:
1. una più equa collaborazione del partner nelle responsabilità di cura,
2. una diversa organizzazione degli orari di lavoro,
3. una maggiore flessibilità negli orari di ingresso e uscita.

In aggiunta a queste, le donne hanno richiesto un supporto più consistente per le attività quotidiane e l’introduzione di servizi scolastici migliori, citando espressamente la necessità di orari prolungati, attività aggiuntive e asili nido aziendali.

Il Report conclude che la scarsità di tempo personale non è un effetto collaterale della vita moderna, ma il meccanismo centrale attraverso cui la disuguaglianza di genere si produce e si accumula. Rendere visibile questo processo è decisivo per ridefinire l’analisi economica e per garantire alle donne italiane la possibilità di raggiungere la piena autonomia economica.

Welfare

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

© Riproduzione riservata

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