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L’italiano, una lingua di lavoro? Sì. E non lo dicono gli italiani

Le lingue che resistono non sono quelle con il passato più prestigioso, ma quelle che trovano spazio nel presente. L’italiano, fuori dall’Italia, continua a farlo: nei laboratori di design, nei teatri, nei dipartimenti di storia dell’arte, nella gastronomia professionale, nei programmi di italianistica e nei corsi universitari che intrecciano ricerca e patrimonio. È un fenomeno poco visibile nel dibattito pubblico italiano, ma pienamente riconosciuto nelle istituzioni che, all’estero, lo insegnano e lo usano ogni giorno.

Questa tenuta non nasce per inerzia, né può essere attribuita al solo fascino esercitato dalla cultura italiana. L’italiano si è ritagliato un ruolo perché in molti ambiti è lingua di lavoro, non semplice complemento estetico. A fronte di questa realtà, la scelta di costituire a Roma la nuova Comunità dell’Italofonia come tentativo di offrire una struttura a un ecosistema culturale già attivo, ma frammentato. Una conferenza a Villa Madama, con delegazioni giunte da oltre venti Paesi, ha reso evidente quanto questo ecosistema sia più robusto di quanto si pensi: una rete che va dalle università balcaniche alle scuole asiatiche di formazione musicale, fino ai Paesi africani dove l’italiano mantiene un ruolo amministrativo e scolastico.

La domanda internazionale non punta a un’icona astratta, ma a una lingua che consente accesso a competenze tecniche, saperi stratificati e settori professionali ben definiti. È da qui che occorre partire per comprendere il significato culturale e politico del nuovo forum internazionale dedicato all’italiano.

Una lingua che genera competenze

La forza dell’italiano all’estero non risiede solo nel suo patrimonio letterario. Il punto, per molti Paesi, è la sua capacità di mettere in contatto discipline che raramente dialogano con naturalezza: musica, arti visive, artigianato di alta qualità, gastronomia, design industriale, restauro. È un insieme di pratiche che richiede un linguaggio preciso, stratificato, capace di rendere pensabile ciò che altrove si esprime per approssimazione.

L’intervento di Giorgia Meloni, inviato in videomessaggio alla conferenza, ha insistito su questo aspetto: la lingua italiana come linguaggio di una produzione culturale e tecnica che va dalla letteratura alla scienza, dal turismo alla moda. La Premier ha ricordato che l’italiano “è parlato da oltre 80 milioni di persone” fuori dai confini nazionali e “continua a essere una delle lingue più studiate al mondo”. Un’affermazione che trova riscontro nei corsi attivati in 130 Paesi, nelle oltre 900 università straniere che ospitano cattedre di italianistica e nei circa due milioni di studenti che lo apprendono come seconda o terza lingua.

La dimensione culturale è stata ripresa da Andrea Riccardi, presidente della Società Dante Alighieri, che ha ricordato come l’italiano non abbia mai avuto vocazione espansiva sul modello delle lingue coloniali. La sua diffusione è avvenuta attraverso percorsi culturali, accademici, produttivi. Riccardi ha definito l’italiano “una lingua che unisce e genera ponti senza una vocazione imperialistica”, ponendo l’accento su un tratto costitutivo: la solidità dell’italiano nasce da una tradizione umanistica capace di convivere con la produzione contemporanea, senza schiacciarsi sul passato.

Questa dimensione culturale si traduce in una domanda di competenze. Nei conservatori e nelle accademie musicali il lessico dell’opera e del belcanto è imprescindibile. Nelle scuole di cucina professionale l’italiano è necessario per lavorare con manuali, ricette tecniche, protocolli di qualità. Nei dipartimenti di archeologia, storia dell’arte, conservazione e restauro, la lingua funge da strumento di interpretazione e trasmissione. È questo uso pratico, prima ancora di quello simbolico, a spiegare la sua resistenza.

Ed è anche ciò che giustifica l’interesse del nuovo forum internazionale: la Comunità dell’Italofonia vuole sostenere questo tessuto culturale, riconoscendo che la lingua vive in ciò che permette di fare.

La geografia culturale dell’italiano

La diffusione dell’italiano nel mondo non segue un’unica logica. È un fenomeno stratificato, con radici storiche in alcuni Paesi, motivazioni funzionali in altri, legami formativi in altri ancora. La conferenza ha offerto una fotografia aggiornata di questa geografia culturale.

  • In Albania l’italiano è parte della vita quotidiana: generazioni intere l’hanno imparato tramite media e scuola, e oggi la lingua è una scelta sia culturale sia professionale. La presenza italiana nella formazione universitaria e nel settore economico alimenta una domanda costante.
  • A Malta, l’italiano è elemento identitario: non è lingua del passato, ma una componente attuale della società, condivisa da famiglie, istituzioni e scuole.
  • In Somalia, nonostante le fratture politiche, l’italiano continua a essere utilizzato in ambito amministrativo e scolastico, confermando la sua tenuta come lingua funzionale.
  • In Svizzera, il capo del Dipartimento federale degli Esteri, Ignazio Cassis, ha ricordato che l’italiano è “una radice imprescindibile del continente europeo”. È lingua ufficiale, lingua di comunicazione intraeuropea e un riferimento culturale che mantiene forza nelle regioni italofone e non solo.
  • Anche i Balcani rappresentano un’area di radicamento significativo: Slovenia e Croazia tutelano l’italiano come lingua storica, e nelle regioni costiere il suo uso nelle scuole è ancora solido.
  • In molte aree dell’America Latina, la diffusione deriva sia dalla migrazione sia dalla formazione culturale: conservatori, scuole di cucina, istituti di design, università con corsi di italianistica e collaborazioni scientifiche.
  • Nei Paesi asiatici, in particolare Corea del Sud, Giappone e Cina, la lingua italiana si è affermata come competenza legata alla musica classica, al design, alla moda e alla produzione audiovisiva.
  • Infine, l’Africa orientale vede una diffusione collegata alla cooperazione universitaria e alla presenza italiana nel settore culturale e scientifico.

Una rete così estesa non può essere sostenuta da iniziative isolate. E infatti il Ministero degli Esteri, come ricordato durante la conferenza, ha erogato nel 2024 oltre 2,8 milioni di euro per più di 500 contributi destinati alla creazione o al mantenimento di cattedre di italiano in circa 70 Paesi. Un investimento che mostra come la lingua non sia percepita come ornamento, ma come parte integrante della politica culturale italiana.

Questa geografia culturale mondiale dimostra che l’italiano non si espande per imitazione ma per utilità culturale: chi lo studia lo fa perché gli serve per suonare, progettare, ricercare, insegnare, lavorare. Ed è questo che ne garantisce la stabilità.

L’Italofonia come infrastruttura culturale

La novità dell’iniziativa presentata a Villa Madama non sta soltanto nella dichiarazione di intenti, ma nella volontà di costruire una vera infrastruttura culturale. La Comunità dell’Italofonia avrà un segretariato, una conferenza biennale, gruppi di lavoro e un coordinamento tra istituzioni culturali, governi, università e società civile. È una struttura che mancava, se si considera la mole di attività svolte negli ultimi anni.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani lo ha sintetizzato con un’espressione precisa: l’italiano “è e deve essere la lingua della pace”. Un messaggio che ha un risvolto culturale evidente. La lingua, infatti, viene proposta come terreno di incontro in un momento in cui molte identità linguistiche vengono utilizzate come strumenti di contrapposizione. Tajani ha insistito sul fatto che la nuova comunità sarà “un punto permanente di incontro”, in grado di favorire crescita, innovazione e dialogo.

Il messaggio del Papa, letto durante i lavori, ha aggiunto un elemento etico: la lingua come mezzo di cooperazione, solidarietà e impegno umanitario. Il riferimento alle radici cristiane non è stato presentato come un marchio identitario, ma come un richiamo al ruolo sociale della cultura e al potenziale delle lingue nel costruire relazioni pacifiche.

La struttura dell’Italofonia punta a favorire scambi accademici, promuovere borse di studio, sostenere la mobilità di studenti e ricercatori, ampliare le traduzioni, incentivare nuove cattedre. La protezione delle minoranze italofone — come quelle presenti sulle coste adriatiche o in territori storici — rientra anch’essa tra gli obiettivi dichiarati. È un approccio che vede la lingua come diritto culturale, non come semplice residuo linguistico.

Un punto interessante emerso dai dibattiti riguarda l’importanza della cultura materiale. Senza l’apporto delle imprese, dei laboratori artigiani, dei distretti produttivi, degli artisti e dei ricercatori, la diffusione dell’italiano non sarebbe sostenibile. La lingua vive nei suoi usi concreti: nelle prove dei musicisti, nei progetti degli studenti di architettura, nella precisione dei restauratori, nei procedimenti delle cucine professionali, nei programmi di studi umanistici. La Comunità dell’Italofonia, in questo senso, non nasce come organismo simbolico, ma come piattaforma che riconosce la lingua come tecnologia culturale diffusa.

Perché l’italiano attrae nuovi studenti

Uno dei dati più sorprendenti riguarda la composizione degli studenti di italiano nel mondo: non si tratta prevalentemente di adulti attratti dalla tradizione, ma di giovani che scelgono la lingua per motivi formativi e professionali. È un fenomeno che tocca tutte le regioni: dai campus sloveni alle università romene, dalle accademie asiatiche ai centri culturali africani.

La presidente Meloni ha ricordato che la lingua italiana “racconta ciò che siamo, la nostra storia e il nostro stile di vita”. Ma il punto, oggi, è anche un altro: racconta ciò che si può fare. L’italiano permette di accedere a settori in cui l’Italia mantiene un ruolo di avanguardia o di autorevolezza riconosciuta: restauro, musica classica, archeologia, design, moda, enogastronomia, tutela del patrimonio, studi umanistici.

Nella rete internazionale intervengono istituti di cultura, scuole italiane all’estero, associazioni, università e organizzazioni multilaterali che valorizzano il multilinguismo. I numeri mostrano che questa rete ha un impatto significativo, e la Comunità dell’Italofonia rappresenta un passaggio verso la sua stabilizzazione.

Gli interventi alla conferenza hanno evidenziato un punto cruciale: la lingua italiana attrae studenti perché consente di entrare in contatto con un metodo. Nel restauro, ad esempio, l’italiano è lingua di procedure; nella musica è lingua di partiture e tecnica; nella storia dell’arte è lingua di descrizione e analisi; nella cucina è lingua di prodotti, dosaggi, regole. Un metodo culturale riconoscibile crea una domanda stabile.

Per questo la continuità dell’insegnamento diventa essenziale. Gli investimenti del Ministero degli Esteri hanno lo scopo di evitare che le cattedre nate negli anni perdano sostegno e vengano meno. La comunità internazionale ha accolto la notizia come un segnale di responsabilità, non di autocelebrazione.

L’italiano, quindi, non si presenta come alternativa alle lingue dominanti, ma come complemento specializzato con un suo spazio autonomo. È una dinamica che molti Paesi hanno colto da tempo e che ora l’Italia prova a supportare in modo sistematico.

Mondo

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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