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Tumori, ogni anno si ammalano 2.500 bambini: dal Sud viaggi della speranza e conti da 35mila euro

A sette anni non si dovrebbe conoscere il significato della parola “chemioterapia”. Eppure, in Italia circa 2.500 bambini e adolescenti ogni anno si ammalano di tumore. È una patologia rara, ma resta tra le prime cause di morte in età evolutiva. Dietro le cifre, ci sono genitori che cambiano lavoro, famiglie che si spostano, redditi che si dissolvono.

Il primo Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici in età pediatrica e adolescenziale, redatto da Favo insieme ad Aieop, Fiagop, la Federazione cure palliative e l’Unità di missione del Ministero della Salute, fotografa per la prima volta in modo sistematico il percorso di cura dei più piccoli. Ne emerge un quadro contrastato: il tasso di guarigione supera l’80%, un traguardo che colloca l’Italia tra i Paesi con le migliori performance cliniche, e oltre 50mila ex pazienti godono oggi delle tutele della legge sull’oblio oncologico. Ma la malattia resta un potente moltiplicatore di fragilità economiche e sociali.

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Per un anno di trattamento, le spese non sanitarie possono arrivare fino a 34.972 euro: viaggi, vitto, alloggi temporanei, farmaci non rimborsati, perdita di giornate lavorative. È un costo che per molte famiglie segna la differenza tra equilibrio e povertà. Il sistema sanitario copre i costi diretti, ma lascia scoperti i danni collaterali: tempo, distanza, fatica. E non c’è ammortizzatore che regga un figlio malato.

Il rapporto evidenzia anche un divario territoriale che incide sulla sopravvivenza: fino a dieci punti percentuali di differenza tra le regioni nella probabilità di vivere cinque anni dopo la diagnosi. Un dato che tradisce l’assenza di un disegno unitario nella rete di cura. Per superare queste disuguaglianze, la Favo propone una maggiore integrazione tra le Reti oncologiche regionali (Ror), la rete Aieop e la Rete nazionale tumori rari (Rntr).

Curarsi lontano da casa

In alcune regioni non ci sono strutture specializzate, e le famiglie devono spostarsi per curarsi. I dati del rapporto Favo confermano che la migrazione sanitaria è ancora la regola in ampie aree del Sud: in Molise l’89,7% dei pazienti pediatrici è costretto a partire, in Basilicata il 64,7%, in Abruzzo il 59,6%. Il Lazio e la Toscana, invece, registrano i più alti indici di attrazione. Nelle patologie complesse la percentuale sale a oltre il 20%. Una disparità strutturale che si traduce in settimane o mesi lontano da casa, con tutto ciò che comporta: alloggi temporanei, ferie forzate, isolamento sociale.

Le differenze non si limitano ai reparti oncologici. Un’altra indagine, realizzata con la Società italiana di anestesia e rianimazione pediatrica (Sarnepi), ha evidenziato la scarsità di posti letto in terapia intensiva pediatrica: appena 273 in tutta Italia per oltre 9,7 milioni di minori tra 1 e 18 anni, cioè un letto ogni 35.856 bambini. Secondo Sarnepi, un terzo di questi posti si concentra in Lombardia e Veneto, mentre intere aree del Sud restano quasi scoperte. La carenza si traduce in trasferimenti urgenti e ricoveri in reparti non idonei, con il rischio di ritardi nelle cure e di peggioramento delle condizioni cliniche.

Lo stesso squilibrio si ripete in oncologia pediatrica: il 58,9% dei degenti tra i 14 e i 18 anni viene trattato in reparti per adulti, dove il personale e gli spazi non sono pensati per le esigenze di un adolescente.

Il rapporto Favo propone un’integrazione reale tra reti sanitarie regionali, sostenuta da strumenti di teleconsulto e digitalizzazione, per creare un sistema connesso, capace di far dialogare i centri periferici con quelli di riferimento. L’idea è ridurre la necessità di spostarsi, distribuendo competenze e tecnologie.

Il dopo la cura e la fatica di restare a galla

Guarire non significa tornare come prima. Dopo le terapie, comincia una nuova fase fatta di controlli, riabilitazione, timori di ricaduta. Per i genitori, però, la fatica economica non finisce con la fine delle cure. Le spese per spostamenti, supporti psicologici e terapie complementari restano fuori dal rimborso pubblico. Il rapporto Favo propone un meccanismo di copertura delle spese indirette, calcolato in base alla durata del trattamento e alla distanza dal centro di cura, per evitare che le famiglie più fragili siano penalizzate due volte: dalla malattia e dal reddito.

Il documento richiama inoltre la necessità di riconoscere la subspecialità in oncoematologia pediatrica, per assicurare che chi cura bambini e adolescenti abbia una formazione specifica. Oggi, in assenza di una figura riconosciuta, la qualità dell’assistenza dipende troppo spesso dall’esperienza dei singoli professionisti.

Ma la cura non è solo clinica. Il rapporto ribadisce il valore della riabilitazione psicosociale, della continuità scolastica e del diritto al gioco e allo sport, anche durante la degenza. La malattia, spiegano le associazioni dei genitori, non deve annullare la vita dei ragazzi, ma proteggerne la crescita.

Un altro punto critico riguarda la pianificazione sanitaria nazionale. L’oncologia pediatrica, denuncia Favo, non è ancora inserita come sezione autonoma nel Piano oncologico nazionale (Pon), nonostante le raccomandazioni europee del progetto Jarc e dell’Agenda 2030. Un vuoto che priva il settore di indirizzi specifici su epidemiologia, organizzazione, accesso a terapie innovative e follow-up a lungo termine.

Giovani

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

© Riproduzione riservata

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