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“Ormai è lotta vera tra politica e finanza. Le banche? Inadempienti per 5.500 assunzioni”, parla Sileoni (Fabi)

(Adnkronos) – Una lotta tra politica e finanza come non si vedeva da anni: con la prima che vuole gestire la seconda e la seconda che cerca sponde a Bruxelles. "In Ue c'è solo la Corte di Giustizia europea che come ultimo anello può intervenire, ma le sue decisioni non producono alcun effetto, se non quello di un eventuale sanzione a posteriori”, dice in un'intervista all'Adnkronos il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni.  
Sileoni, la fase uno del risiko lentamente si avvia verso la definizione. Nella seconda fase cosa metterete sul tavolo?
 “Denunceremo tutto in maniera forte e non faremo sconti a nessuno. Il tema del risparmio degli italiani, che è un tema importante che non può riguardare solo Generali, come è accaduto fino adesso, ma deve riguardare tutte le banche. Il governo non può dire, come hanno detto recentemente, che non fanno distinzione tra banca italiana e banca non italiana. All’estero una banca si deve comportare da banca. In Germania una banca non avrebbe spazio se avesse come obiettivo soltanto quello di ingrandirsi a livello strutturale e solamente con lo scopo di vendere più prodotti finanziari o prodotti assicurativi. A noi non piacciono quelle banche che verbalmente e virtualmente si presentano in un certo modo, ma vogliono solo acquisizioni non soltanto di altre banche, ma semplicemente di un numero consistente di sportelli, e tutto questo soltanto per vendere prodotti finanziari e prodotti assicurati. Mi riferisco anche a qualche banca straniera che tenterà nei prossimi giorni, nei prossimi mesi, di porsi come l'outsider, e cioè una banca che fino ad oggi è stata poco presente sui quotidiani e sui media, che però ha l'ambizione di diventare un gruppo importante".  
Oggi Giuseppe Castagna, amministratore delegato di Banco Bpm, ha detto che ci sono diverse opzioni sul tavolo per l'M&A. Che ne pensa?
 "Banco Bpm è una banca che sta sul territorio. Ci sta bene, conosciamo bene tutta la situazione interna, il rapporto con le imprese, con le famiglie, con i territori. Quel modello lì per noi è vincente. Per noi il modello che sta portando avanti Giuseppe Castagna è un modello vincente. D'altronde un altro gruppo importante è Intesa, che sui territori ha sempre fatto sentire in positivo la propria presenza. Questi due modelli vanno seguiti. Intorno, per tutta una serie di motivi, si stanno creando delle situazioni dove al di là delle dichiarazioni degli amministratori delegati o al di là delle dichiarazioni dei Consigli di amministrazione ho la certezza, non l'impressione, che si tenda a mettere in piedi una banca per vendere prodotti finanziari in altre nazioni e per fare la fortuna di molte banche perché in termini di commissioni il ritorno è molto alto”. 
Però c'è ad esempio il matrimonio tra Bper e Pop.Sondrio che sono due ex popolari…
 "Sì, senz'altro si tratta di un'operazione diversa e le dirò di più: penso che Bper sia pronta, tra non molto, a proporsi come una delle protagoniste del prossimo risiko bancario, anche se, dopo l’operazione su Popolare di Sondrio, ci sarà un momento di riflessione. Nel gruppo Bper è fondamentale la presenza della Fondazione Banco di Sardegna, che, sostenendo concretamente i vertici sia di Unipol che di Bper, contribuisce in modo determinante alla stabilità del gruppo. In questo senso, Cerchiai è stato un maestro. Bper rappresenta un modello diverso, reso vincente dall’accoppiata con Unipol, sono state messe insieme due esperienze fondamentali. Un ruolo cruciale lo gioca Carlo Cimbri, un grande protagonista che viene dalla gavetta nel settore assicurativo, e che conosce a fondo i meccanismi della finanza". 
Un gruppo vincente..
 "Sì, il gruppo Bper è la sintesi di più identità: c'è l’anima modenese, quella ex Unipol, quella di Carige e quella di Ubi. Il connubio tra queste esperienze richiederà ancora del tempo per consolidarsi, anche se i risultati già si vedono. A guidare questa fase c’è la gestione dell’amministratore delegato Papa discreta, prudente ma incisiva, senza proclami, concreta, affiancata dalla supervisione di Cimbri, che conosce bene l’ambiente e ha garantito il costante supporto dei gruppi bancari, anche della sua azienda, ai territori. Questa unione di esperienze ha dato vita a un gruppo bancario di peso, che finora è rimasto un po’ lontano dai riflettori, anche perché l’operazione su Sondrio è stata relativamente contenuta. Tuttavia, con una strategia dei piccoli passi, Bper sta guadagnando terreno e strutturandosi in modo solido. Per questo motivo, sono convinto che, tra qualche tempo, sarà pronta a recitare un ruolo da protagonista nel prossimo risiko bancario, anche se, nel breve termine, credo che ci sarà una fase di riflessione piuttosto intensa". 
L'Unione Europea spinge sulla necessità di creare grandi gruppi bancari in grado di competere con quelli americani e cinesi, mentre i piccoli e medi imprenditori denunciano difficoltà nell’accesso al credito. Quale è il punto di caduta?
 "Il punto di caduta è l’assenza di un regolatore. Un regolatore esiste sulla carta, la Bce, ma manca un’Unione bancaria vera. La Banca d’Italia ha competenze limitate. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, contano solo i dividendi, la capitalizzazione e l’immagine vincente. Ma chi lavora dentro le banche sa che non è tutto oro quel che luccica. Manca una finanza davvero sostenibile: oggi il settore è attraversato da una competizione esasperata, senza precedenti negli ultimi 80 anni. Questa guerra tra banche porta a politiche aggressive anche verso i dipendenti, sempre più pressati da obiettivi irrealistici e da indebite pressioni commerciali, che stanno tornando a crescere, anche in istituti che prima non ne facevano uso. Il problema non è solo sindacale, ma sociale, con ricadute dirette sui clienti. Lo abbiamo denunciato anche in Commissione parlamentare d’inchiesta: ora la politica non può più far finta di non sapere".  
Molti parlano di abuso del golden power, che ne pensa?
 “Il Golden Power non è uno strumento solo italiano, esiste anche in altri Paesi. Ma non dovrebbe mai essere necessario se ci fosse un regolatore nazionale o europeo in grado di intervenire per tempo.Quando un gruppo bancario punta un altro gruppo, la Bce viene informata preventivamente. Se non si esprime, il silenzio viene inteso come via libera. Ma è proprio lì che dovrebbe intervenire l’Europa, con un’autorità forte e unitaria. Il problema è strutturale: l'Unione Bancaria Europea è ancora zoppa. La Germania, ad esempio, non ha ancora deciso se aderire pienamente. Finché i principali Paesi non saranno davvero coinvolti, non si riuscirà a esercitare un controllo efficace. Oggi manca un arbitro finale. Se un gruppo si sente penalizzato da una decisione – come l’applicazione del Golden Power – può solo fare ricorso alla Corte di Giustizia Ue, che può sanzionare ma non cambiare decisioni già prese. Serve un soggetto europeo che decida, intervenga e garantisca equilibrio nel settore: mancano insomma il regolatore e l’arbitro.” 
Serve una regolamentazione europea?
 "La regolamentazione europea sullo strumento di fatto c’è, perché è vero che il Governo ha applicato il Golden Power, ma l’Unione Europea e la Bce hanno già espresso chiaramente il loro pensiero sull’attivazione di questo strumento. Quindi quella è, nei fatti, una regolamentazione.Il vero nodo, però, è un altro, prosegue Sileoni: pochi fanno emergere che le operazioni straordinarie delle banche non nascono per sostenere l’economia locale o per un legittimo ritorno economico. Nascono perché, dopo anni di politiche Bce con tassi molto bassi, i bilanci si sono gonfiati e le banche non sanno più dove mettere i soldi. Sono talmente pieni di liquidità che hanno deciso di crescere attraverso acquisizioni. In più si agita il timore dell’arrivo aggressivo di fondi americani o cinesi nel settore bancario italiano, ma è un alibi. La verità è che c’è anche tanta ambizione personale da parte di alcuni amministratori delegati e una disponibilità economica che, a nostro avviso, andava destinata a obiettivi di vera sostenibilità finanziaria. Non tutte queste operazioni sono state gestite bene." 
Domanda a bruciapelo: si perdono più posti di lavoro dalla digitalizzazione o dal risiko?
 “La digitalizzazione è un falso problema che le banche buttano sul tappeto solo per abbattere i costi. Siccome a loro costa, chiederanno delle forme di compensazione perché hanno speso troppo. Fino a due anni fa facevano solo annunci, ora sono costrette a investire davvero. Ma se la digitalizzazione viene gestita a livello di gruppo, nazionale e sindacale, non comporta perdite di posti di lavoro perché crea nuove professioni. Diverso è il discorso sulle operazioni straordinarie: lì serve un numero maggiore di assunzioni. La vecchia logica sindacale del due escono e uno entra non è più sostenibile”.  
Serve uno a uno?
 Guardi, le dico che nel settore bancario mancano all’appello circa 5.500 assunzioni rispetto a quanto concordato nei piani industriali e negli accordi già sottoscritti. Le banche sono inadempienti: hanno assunto solo parzialmente rispetto agli impegni presi con noi. A settembre tireremo fuori i numeri banca per banca. Non si può parlare di nuovi equilibri tra uscite e ingressi se prima non vengono ricoperti questi 5.500 posti vacanti. È una questione di inadempienza contrattuale e se non si mette un freno adesso, il numero delle mancate assunzioni è destinato a crescere. Le banche devono mettersi in regola subito. Il tema verrà rilanciato con forza a settembre poi si potrà discutere dei nuovi piani industriali".  
Cosa si muove intorno al risiko?
 “Dopo tanti anni per la prima volta c'è una vera lotta fra la finanza e la politica, e all'interno della finanza ci sono gruppi che si scontrano fra di loro. Il nodo è politico perché, ad esempio, il primo ministro spagnolo, pur essendo dichiaratamente di sinistra, sta agendo sul fronte finanziario con un approccio sovranista. Ha bloccato la fusione tra due banche spagnole, motivando la scelta con la tutela dell’occupazione e il rischio di troppi licenziamenti. Allo stesso modo, in Germania, Merz sta adottando strategie simili. In Italia è successo quello che è successo con Unicredit. Dopo tanti anni per la prima volta ci troviamo di fronte a uno scenario che è completamente diverso, cioè la politica contro la finanza, nel senso che vuole gestire la finanza e la finanza che in qualche modo, non essendo abituata, prova a difendersi, cercando sponde in Europa, ma le sponde in Europa non ci sono, perché c'è solo la Corte di Giustizia europea che come ultimo anello può intervenire, ma le sue decisioni non producono alcun effetto, se non quello di un eventuale sanzione a posteriori”. 
Ha ragione Messina quindi: il risiko è far west all’italiana?
 "Condivido pienamente quello che lui ha detto. Messina ha una visione molto attenta e molto intelligente del presente e del futuro, non è uno che si avventura in situazioni anomale. La spiegazione l'ha data lui stesso al nostro ultimo Consiglio nazionale. Le operazioni straordinarie nascono perché c'è molta disponibilità economica nei gruppi bancari e quindi non sapendo dove mettere questi soldi si sono scatenate queste guerre. L'altro aspetto è che manca un'istituzione che dovrebbe, non a colpi di Golden Power, ma a colpi di prevenzione politico-finanziaria, indirizzare il settore senza trasformarlo in questo questo Far West, come giustamente diceva Messina". (Di Andrea Persili) —finanzawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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