(Adnkronos) – Cosa resterà di questi anni '80: forse poche cose, di certo non il laissez faire. Ci fu un tempo in cui era il mercato a decidere. Logiche industriali, ambizioni strategiche, valutazioni economiche. Il gioco di fusioni e acquisizioni – quello che oggi in ambito bancario viene chiamato "risiko"– si sarebbe disputato a colpi di proxy, sul tavolo dei grandi advisor e nelle stanze dei consigli di amministrazione. Oggi, lo scenario è cambiato. Radicalmente. La strada verso una fusione è disseminata di checkpoint normativi e snodi burocratici. Non sempre lineari. Ieri il presidente di Intesa Sp, Gian Maria Gros-Pietro: "Ci sono degli incroci di competenze, nazionali, di governo, di autorità di supervisione: e ci sono dei confini di queste competenze che talvolta non sono così chiari". Oggi l'Ad di Unicredit, Andrea Orcel: "Se guardiamo agli anni in cui io ho lavorato nel campo dell’M&A — gli anni ’80, ’90, 2000 e così via — il meccanismo era chiaro. C’erano regole precise: la creazione di valore era al centro e gli azionisti, dall’altra parte, avevano un ruolo fondamentale nel dire sì o no a un’operazione. Analizzavi il contesto, valutavi come comportarti, come strutturare l’offerta, come portarla a termine e come relazionarti con gli azionisti dell’altra parte. Era un processo chiaro, lineare. Oggi, invece, non è più così. L’evoluzione è stata continua, e il contesto si è profondamente trasformato". In che modo? Si è inserita una forte regolamentazione. I protagonisti delle operazioni del risiko in corso devono rapportarsi con una serie di soggetti: dalla Consob alla Banca d’Italia, dalla Bce all’Agcm, fino al governo stesso, che può invocare il Golden Power per blindare asset strategici. Nel dettaglio: la Consob analizza il documento d’offerta per garantire trasparenza, completezza e correttezza dell’informazione verso gli azionisti. Bce e Banca d’Italia intervengono per autorizzare l’acquisizione di partecipazioni qualificate, valutando l’impatto dell’operazione sulla solidità patrimoniale, la governance e il profilo di rischio del nuovo soggetto. Agcm valuta il rispetto delle regole antitrust, per evitare concentrazioni dominanti nei mercati di riferimento. In caso di banche di rilevanza sistemica o settori strategici, può attivarsi anche il meccanismo del Golden Power, che permette al governo italiano di bloccare o imporre condizioni a tutela dell’interesse nazionale. Risultato? Il processo si allunga di diversi mesi, rischia di politicizzarsi ma soprattutto di chiudersi in un ginepraio autorizzativo dove manca omogeneità. Se qualcuno chiede all'Ue di battere un colpo – e qualcun altro la invita invece a ritirarsi – Filippo Alloatti, Head of Financials Credit di Federated Hermes, osserva all'Adnkronos che regole in Europa, seppur macchinose e migliorabili, sono sul tappeto. "Già prima del Covid – spiega – si pensi alla presidenza Enria della sorveglianza bancaria, Single Supervisory Mechanism (Ssm), c’è stato un cambiamento di orientamento e iniziative volto a favorire le combinazioni domestiche e paneuropee nel settore finanziario", sottolinea. Due i macro-obiettivi. "In primis, la costituzione di un Unione Bancaria, ancora zoppa, che agirebbe da ancella dell’economia della zona euro. E in secundis, il rafforzamento dei conti economici, essendo il settore finanziario beneficiario di economie di scala". Lo stato dell'arte: "Sul primo mancano, forse, riscontri empirici", chiosa Alloatti. "Troppe volte la sbandierata e supposta assenza di regole è usata un po’ come scusa dai vari management europei. Alle volte manca il coraggio di convincere gli azionisti, i propri e quelli della società preda, del valore di certe combinazioni. Talora, gli azionisti non hanno voce, attese le interferenze politiche". (di Andrea Persili) —finanzawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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