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Intervista a Ottaviano dell’Acqua: una vita tra acrobazie, cinema e l’evoluzione dell’industria cinematografica italiana

(Adnkronos) – La carriera di Ottaviano dell'Acqua rappresenta un percorso singolare e affascinante nel mondo dello spettacolo italiano, caratterizzato da una rara combinazione di abilità fisiche e presenza scenica. Nato in una famiglia di artisti circensi da generazioni, le sue prime esperienze si sono sviluppate nell'ambiente del circo, dove ha affinato tecniche acrobatiche e numeri al trapezio. Questa solida base nel movimento e nel controllo del corpo ha costituito il trampolino di lancio per un'inaspettata transizione verso il cinema. Adnkronos Tech&Games ha avuto l'opportunità di intervistarlo in occasione del Molfest 2025 a Molfetta, il festival della cultura Pop organizzato da LEG, Live Emotion Group.  
Com'è iniziata la tua carriera nel mondo dello spettacolo?
 
La mia vita è iniziata, letteralmente, in volo. Vengo da una famiglia di artisti circensi, da generazioni. Il mio debutto è stato nel circo, facendo evoluzioni al trapezio, numeri acrobatici… insomma, una scuola di vita e di disciplina. Poi, c’è stato un salto: dal tendone del circo al set cinematografico. Ho iniziato giovanissimo, recitando in un film di Fellini, Satyricon, credo fosse il 1969. Poco dopo sono stato scelto per un western, "Un minuto per pregare, un istante per morire". Qui interpretavo James Coburn da giovane, nei flashback in cui ricordava l’uccisione dei genitori.
 
Quando hai deciso di passare dal ruolo di attore a quello di stuntman?
 
È stato un passaggio naturale. Le mie capacità acrobatiche mi hanno portato a specializzarmi come stuntman. È un lavoro completamente diverso rispetto a quello dell’attore: serve una preparazione mentale enorme. Come stunt devi essere lucido, valutare i rischi in tempo reale. L’attore studia il copione e trasmette emozioni. Lo stuntman invece spesso lavora in condizioni estreme, in bilico tra spettacolo e pericolo. 
Hai lavorato con registi come Lucio Fulci, Dario Argento, Bruno Mattei. C'è qualcuno che ti è rimasto particolarmente nel cuore?
 
Tutti, in fondo. Ma Bruno Mattei ha un posto speciale. Girava film a bassissimo budget, eppure si creava sempre una grande famiglia sul set. Per tre anni abbiamo lavorato nelle Filippine, girando horror e film d’azione. Pochi soldi, tanto entusiasmo. E sì, anche con Fulci ho avuto un grande rapporto: ci stimavamo, avevamo fatto già parecchie cose insieme.
 
Tra i generi cinematografici, dell'Acqua nutre un affetto particolare per due produzioni che hanno segnato la sua carriera: il filone degli zombie e i film con Bud Spencer. Il suo coinvolgimento nel celebre "Zombi 2" (1979) di Lucio Fulci, dove ha interpretato uno degli zombie più iconici. 

 
Lo zombie con i vermi nell’occhio in Zombi 2 di Fulci sei tu, vero?
 (Ride) Sì, sono io. Fulci aveva avuto questa idea folle dello zombie con i vermi e ha detto: “Voglio che sia Ottaviano. Mi piace come si muove”. Mio fratello era il coordinatore degli stunt, tutta la mia famiglia era coinvolta. È stato un film importante, anche perché in quel periodo il cinema italiano guardava molto al modello americano. Dopo La notte dei morti viventi di Romero, anche noi abbiamo iniziato a lavorare sul genere. 
Un film che ti è rimasto nel cuore?
 
Uno è senza ombra di dubbio "

Lo chiamavano Bulldozer

" con Bud Spencer, dove interpretavo Gerry. Lì ho messo da parte il domatore circense per concentrarmi sul mestiere di stuntman e attore. Sono stato scelto tra tantissimi, il regista Michele Lupo ha detto: “Il ruolo è di Ottaviano, non voglio vedere nessun altro”. Abbiamo girato tutto in presa diretta in inglese, con coach tutti i giorni. Era un periodo bellissimo: giovani, entusiasti, pieni di voglia di fare. E poi c'era Bud Spencer. Era un uomo buono, molto protettivo. Voleva sempre il suo gruppo vicino. Bud [Spencer] si preoccupava per me, perché ero il più giovane. Diceva: 'State attenti, che non si faccia male! State attenti di più!'. Poi, eravamo in America, e a un certo punto – dato che lui voleva il suo staff di stuntman sempre con lui a cena, una sera gli dico: 'Maestro, le posso chiedere una cortesia?'. Lui mi fa: 'Dimmi'. "Siamo in America, non è che si vive solo di mangiare! Ci sono anche le discoteche, ci sono belle ragazze!'. E lui mi ha risposto: 'Puoi farlo, però non prendere l'abitudine. Ogni tanto puoi andare in discoteca, però devi stare con me. Era molto geloso del suo gruppo.  
Un aneddoto che ti ha colpito particolarmente?
 
Guarda, c'è un episodio che definirei divertente ma non troppo. Eravamo in America per girare il film 'Chi trova un amico trova un tesoro', sempre con Bud Spencer. Il regista mi chiese di scavalcare una recinzione e di buttarmi in una pozza d'acqua. Per me, che ero agilissimo, anche un muro di quattro metri sarebbe stata una passeggiata. Eravamo in un giardino zoologico in disuso, era chiuso.
 
Mentre mi avvicinavo per salire, all'improvviso è uscito il responsabile dello zoo, cominciando a urlare come un matto: 'Che state facendo? Stop!'. Io e Bud ci fermammo, senza capire il motivo. Lui ci disse: 'Ora vi faccio vedere perché'. Prese una gallina e la tirò al di là della rete. Balzò fuori un coccodrillo di almeno otto metri, enorme! Mi ha salvato la vita, era l'unico animale che non erano riusciti a portare via. 
Com’è cambiato il cinema italiano rispetto a quei tempi?
 
È cambiato tanto. Una volta facevamo horror, western, film d'azione, generi popolari. Ora facciamo, a parte qualche rara eccezione, quasi solo commedia o film drammatici. Ma io credo che il problema sia a monte: non ci sono più sceneggiatori. È un cambiamento che onestamente io non ho capito. Forse ora il mercato chiede qualcosa di diverso. Da dieci anni a questa parte, non riusciamo più [a produrre come prima], e poi non c'è più chi scrive, che è il grande problema. Non ci sono più sceneggiatori, nessuno scrive più, nessuno vuole perdere tempo. Questo perché magari su dieci sceneggiature, ne viene scelta una sola. Invece, quando ho iniziato io, se ne scrivevano dieci: quella principale che faceva il film prendeva una certa cifra, ma tutte le altre nove prendevano comunque un rimborso spese.
 
C'è un problema strutturale del cinema, di come riferisce i fondi, di come vengono assegnati i fondi, e di come… come lo Stato anche [interviene]. C'è un esempio adesso, di un fatto che di per sé è eclatante: quell'americano [Kaufmann], coinvolto nell'omicidio di Villa Pamphili, ha chiesto e gli sono stati concessi oltre 800 mila euro per la realizzazione di un film che poi, di fatto, non è mai stato distribuito.
 
Hai partecipato anche a serie che raccontano la storia del nostro Paese…
 
Sì. Ho girato Il cacciatore di mafiosi, tre stagioni girate in Sicilia, con una sceneggiatura scritta da un giudice vero che lavorava con Falcone e Borsellino. Abbiamo raccontato i retroscena di Totò Riina, i fratelli Brusca… sembrava di stare lì davvero, si percepiva di essere in qualche modo "ospiti". Poi c’è Piazza delle Cinque Lune con Donald Sutherland, sulla storia di Aldo Moro. Oppure Roma violenta, Italia a mano armata. Noi abbiamo tantissimo da raccontare è folle che si riesca a raccontare solo certi aspetti dell'Italia. Di film sull'Impero Romano, tanto per fare un esempio, sicuramente ne hanno fatti di più gli americani di quanti ne abbiamo fatti noi, paradossale. E anche il nostro modo di raccontare le cose, di fare cinema era un esempio. Guarda Tarantino, può piacere o meno ma è lui stesso ad affermare a più riprese di amare il cinema italiano del trentennio che va dagli anni '60 agli anni '80. Ha preso molto da quei film, da Enzo Castellari soprattutto. E lo ammette anche lui.
 

 
Che progetti ci sono per il futuro?
 
Ho lavorato con Zampaglione a un film horror, The Well (Il Pozzo), e mi ha già detto che a ottobre si riparte per un nuovo progetto ancora più "forte". Ci sono tante proposte, devo solo decidere dove andare. Il mestiere è cambiato, anche la comunicazione è diversa. Prima ti venivano a intervistare fino in America: Famiglia Cristiana, Il Messaggero. Oggi basta un post, e spesso la gente non sa nemmeno chi sei. Come è successo qui a Molfetta per il Molfest 2025. Eravamo qui e nessuno capiva chi eravamo e che facevamo… è stato sufficiente un post e si è scatenato il putiferio in un bagno di folla.
 
Cosa pensi dei social e del modo in cui si comunica oggi?
 
Per certi versi aiutano. Ma mi preoccupa soprattutto il rovescio della medaglia. I giovani hanno perso curiosità e manualità. Sembrano guardare dentro un buco nero quando hanno in mano lo smartphone. Non scrivono più. Io ogni anno mi faccio dare un’agenda dalla banca e scrivo tutto a mano, ogni giorno.
 
Come hai vissuto la partecipazione al Molfest 2025?
 
Mi ha chiamato Marcello Vicini: “Ti va di stare con noi?”. Ho accettato con piacere. Avevo bisogno anche di un periodo per rimettere in ordine le idee. Il cinema è allegria, spettacolo, condivisione. Dobbiamo tornare a raccontare storie nostre, vere alla gente e Molfetta era un modo per tornare a incontrare la gente. Perchè è quello che mi piace del mio lavoro: regalare momenti unici e indimenticabili.
 —tecnologiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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