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Mediobanca è stata conquistata da Mps. I prossimi giorni diranno se si arriverà direttamente a una fusione, nel caso in cui l'offerta di Rocca Salimbeni arrivasse a superare il 66,67%, ma l'era segnata dal potere di Piazzetta Cuccia, strettamente legato al controllo delle Generali, è già comunque andata in archivio. Si compie l'atto finale di una trasformazione che ha progressivamente sgretolato equilibri che sembravano intoccabili. Come è stato possibile? Quali fattori hanno concorso a un epilogo che solo qualche mese fa sembrava ancora impensabile? Proviamo a metterli in fila, perché ognuno di questi elementi si tiene con gli altri in una concatenazione di cause ed effetti che ha cambiato volto alla finanza italiana. La politica si è sempre divisa nelle grandi partite finanziarie. Maggioranza contro opposizione, più spesso singole forze politiche una contro l'altra anche all'interno dello stesso schieramento. Per ragioni territoriali, per convenienze elettorali, anche solo per calcoli personali. Si può ricordare, per tutte, la vicenda Unipol-Bnl. La domanda "ma abbiamo una banca?" fatta dall'allora segretario dei Ds Piero Fassino all'allora amministratore delegato di Unipol, Giovanni Consorte, è diventata la rappresentazione plastica della commistione tra politica e finanza, che non riusciva però a raggiungere i suoi obiettivi. Ma si possono ricordare anche nell'altro fronte politico le alleanze e le giravolte che hanno di volta in volta accostato il centrodestra a questa o a quella operazione. La differenza, sostanziale rispetto a quello che è avvenuto in questi mesi, è che c'erano pesi e contrappesi che alla fine, in un modo o nell'altro, piegavano le ambizioni della politica alle logiche del mercato. O, meglio ancora, alle armi di difesa di un sistema finanziario in grado di gestirsi resistendo alle pressioni esterne. Oggi ci sono due fattori che sono mancati in passato: la stabilità di governo e una coincidenza di interessi nella maggioranza e l'incapacità dell'opposizione di contrapporsi, soprattutto per mancanza di rapporti e pochissima prospettiva di successo come alternativa credibile. Il risultato è che, in questa fase, l'indirizzo politico, e il peso del Mef azionista con l'11,7% in Mps lo certifica senza tema di smentita, è molto più influente rispetto al passato. Nel tempo si è gradualmente ma definitivamente esaurita l'eredità lasciata da Enrico Cuccia. Mediobanca ha perso la presa che aveva sul sistema come fulcro di qualsiasi operazione avesse una rilevanza veramente strategica. Questo non perché l'uomo che l'ha guidata dal 2008 a oggi, Alberto Nagel, non sia stato capace di fare il suo mestiere. Tutt'altro. E' successo perché la trasformazione del modello di business della banca d'affari ha ridimensionato il suo peso come holding di partecipazioni, aumentando invece, con lo sbarco nel wealth management e lo sviluppo nel credito al consumo, il suo potenziale di crescita e il valore come istituto di credito autonomo. Da ago della bilancia e inespugnabile centro di potere, Piazzetta Cuccia è diventata però anche una potenziale preda, come dimostra il successo dell'operazione di Mps. Mediobanca non è stata solo il primo azionista delle Generali. E' stata, per decenni, il garante dell'indipendenza del Leone di Trieste. Una posizione blindata dall'intreccio delle partecipazioni azionarie e da una governance capace di resistere, finora, a ogni assalto, sia dall'esterno sia dall'interno. Un legame che ha condizionato anche lo sviluppo e le scelte strategiche di Piazzetta Cuccia. Settant'anni di intrecci che l'ultima mossa di Nagel, per molti osservatori una sorta di 'mossa della disperazione', avrebbe comunque sciolto: con l'offerta pubblica di scambio per acquisire la totalità di Banca Generali, controllata del Leone di Trieste, Mediobanca avrebbe poi ceduto la propria partecipazione proprio alle stesse Generali. Si sarebbe compiuto un riassetto strategico che, nel disegno di Nagel, avrebbe consentito di conservare indipendenti, ma slegate tra loro, sia Mediobanca sia Generali. Caltagirone e Delfin, la holding degli eredi della famiglia Del Vecchio, hanno tentato più volte l'assalto a quello che è sempre stato il loro obiettivo dichiarato, le Generali. Negli ultimi mesi, un cambio di strategia favorito dagli interessi coincidenti con quelli della politica, ha favorito l'epilogo di questi giorni. Titolari insieme di quasi il 30% del capitale di Mediobanca hanno dato per primi l’adesione per intero all'offerta di Mps, tracciando così la strada per le altre adesioni. E decisivo è stato anche il lavoro del ceo della banca di Rocca Salimbeni, Luigi Lovaglio, che negli ultimi mesi ha intensificato i contatti con i grandi gestori italiani ed esteri, convincendoli a sposare la sua 'causa'. Il risultato dell'interazione di questi fattori è che Mps ha conquistato il controllo di Mediobanca e rileverà la quota di Piazzetta Cuccia in Generali. E se le dimissioni di Nagel e dell'intero Cda sono attese a breve, gli effetti del cambiamento epocale si vedranno presto anche in Generali, dove il cda e l'Ad Philippe Donnet, sostenuti da Piazzetta Cuccia, sono stati nominati solo la scorsa primavera. (Di Fabio Insenga) —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Come e perché si è arrivati alla fine dell’era Mediobanca?
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